Avete presente quella colla liquida bianca con cui da ragazzi ci si impiastrano sempre le mani? Quella che chiamiamo con le iniziali di VINil Acetato VILladossola. Avete bisogno di altri indizi? Su, non fatemi dire il nome commerciale. Ebbene, quello dell’inossidabile adesivo per lavoretti scolastici (e non solo) è rimasto l’unico grande marchio rimasto incollato a Villadossola, un borgo ai piedi delle prime alture della val d’Ossola che nel corso del ‘900 ha conosciuto un’ascesa industriale che arrivò a creare migliaia di posti di lavoro, oggi irrimediabilmente persi. Le attività sono cessate, ma i segni sul territorio restano. Anche se è in corso un lungo piano di demolizioni e riqualificazioni, quelle spettrali strutture sospese tra la vita e la morte continuano a incombere massicciamente su un territorio dove palazzi senza stile sono cresciuti uno accanto all’altro per agevolare una vorticosa crescita che si è poi inceppata, lasciando ferite ancora lunghe da rimarginare. Tra tutti, svetta una “fetta di polenta” azzurra che pare il condominio dei puffi.
Una passeggiata attorno agli ex luoghi della metallurgia lascia impressionati per l’alternarsi di scheletri di capannoni dalle prospettive infinite, poderose tubazioni che avvolgono la fabbrica, una linea ferroviaria che entrava nello stabilimento, foglie rosse autunnali che colorano una recinzione arrugginita. Ti volti e non riesci a consolarti se osservi la nuova chiesa parrocchiale di Cristo Risorto, che esternamente si presenta come una scatola di cemento di fronte alla quale bisogna essere forti per astenersi dagli stereotipi sull’architettura moderna. Quindi non è il momento di chiedersi se i secoli bui sono stati davvero quelli che hanno visto nascere la magia delle chiese romaniche. Una di esse, per altro, si affaccia proprio lì a due passi, con uno slanciato campanile in pietra che ha per sfondo i ruderi della fortuna industriale di Villadossola. Un altro gioiello romanico si trova in località Piaggio ed è di quelle strutture dalla storia così articolata che scendere le scale per la cripta non fa rimpiangere, tutto sommato, di non poter viaggiare con la macchina del tempo.
Restano tante riflessioni che ronzano per la testa. La visita a Villadossola, un borgo che anche la più diplomatica delle guide forse non riuscirebbe a definire bello, ha quasi riempito una giornata. Anzi, quando pensavo di partire, uno sguardo verso l’alto mi ha fatto capire che c’era ancora altro da esplorare, la parte alta del paese, che dovrò lasciare per la prossima volta. Non ho resistito però al fascino delle rovine di San Maurizio, che ho scoperto osservando un mini campanile che si ostina ad affermare la propria dignità tra balconi irti di parabole. Persino un’istallazione di arte contemporanea posta su ciò che rimane della parete di fondo della chiesa è ormai in rovina. Mi giro e spunta ancora un villino signorile di inizio ‘900, abbandonato e infestato da una vegetazione che in questa stagione lo infuoca con le sue tinte rosse. Sembra il paradiso degli “urbexer”, come un po’ tutta Villadossola.
Lorenzo Crola
3 pensieri riguardo “Il tessuto sfaldato della città della colla”