Partitelle sognando Cristiano Ronaldo nell’ex fabbrica dei lingotti

Nella periferia di Torino c’è uno spazio dove potete camminare tra partitelle di calcio, pallavolo e basket mentre magari vi sfiora qualche skater che fa lo slalom tra gente che si allena, medita o chiacchiera con gli amici. Non sto parlando di un centro sportivo polifunzionale. O forse, in pratica, sì. In ogni caso, volevo provare a descrivere l’atmosfera che si respira in questa chilometrica struttura costituita da una sequela di colossali piloni rossi (che mandano in sollucchero gli instagramers alla ricerca dello scatto che fa tanti like) e da una tettoia sotto la quale chissà quanti operai hanno lavorato per produrre acciaio destinato alla più nota casa automobilistica piemontese.

Tutti questi relitti industriali negli ultimi decenni sono stati oggetto di un ambizioso piano di recupero che costituisce oggi parco Dora, immensa area verde che rivitalizza il grigiore dell’ex capitale del lavoro, già ex capitale sabauda. Qui un tempo arrivavano vagoni carichi di rottami destinati a trasformarsi in preziosi lingotti (d’acciaio). Ora rottami, felpe, cestini diventano i pali delle porte di calcio che i ragazzi si disegnano nella mente immaginandosi Cristiano Ronaldo.  

Parco Dora è un esempio di come si possa ridare senso a una mastodontica struttura industriale dismessa, andando oltre quello stato sospeso tra la vita e la morte tipico di molti siti fatiscenti e abbandonati. Se la visita all’adiacente chiesa del Santo Volto (vedi precedente articolo) mi aveva un po’ consolato della choccante visita alla parrocchiale di Cristo Risorto a Villadossola (Verbania), le soluzioni adottate per questo sito mi hanno fatto pensare che ci può essere un futuro anche per i mostruosi ruderi siderurgici della stessa sfortunata Villadossola.

Nel concepire questa porzione di parco Dora si è deciso di  non rimuovere del tutto nemmeno l’aspetto più tetro della città del lavoro: i piloni di un altro chilometrico capannone sono stati conservanti senza il tetto che reggevano, formando così  una scenografia spettrale che incornicia i palazzoni di periferia e la turrita chiesa di Mario Botta.

In un’atmosfera che fa un po’ muro di Berlino, i rimasugli di aride pareti in cemento armato sono stati coperti di murales. Là il simbolo di una città lacerata, qui le rovine di una fortuna industriale. Queste opere riescono a trasmettere l’idea che la voglia di esprimersi attraverso un linguaggio artistico non muore mai. Anche se le forme cambiano. Devo confessare la mia ignoranza nel riconoscere o decifrare i soggetti raffigurati, essendo più abituato a interrogare gli affreschi medievali. Ma non importa, forme e colori veicolano messaggi universali. Prendete l’omaggio a Bobby Sands, costituito da quattro ex torri di raffreddamento cilindriche trasformate in altrettanti simboli che omaggiano la breve vita  dell’attivista nordirlandese e la sua terra: un boccale di birra e tre cappelli a cilindro di colore verde, bianco e arancione.

Lorenzo Crola

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