Che senso ha la vita? Il giornalista-scrittore Gabriele Romagnoli ha voluto provare a rovesciare la domanda: che senso ha l’assenza di vita?
Per trovare delle risposte partendo da questo inedito punto di vista ha affrontato l’esperienza della morte «per capire se, pur attraverso una messinscena, la sensazione della fine aiuta ad afferrare qualcosa», come spiega l’autore “redivivo” nel primo capitolo di “Solo bagaglio a mano”.
LA KOREA LIFE CONSULTING OFFRE LA POSSIBILITÀ DI FINGERSI MORTI, ASSISTENDO ALLE PROPRIE ESEQUIE.
IL GIORNALISTA GABRIELE ROMAGNOLI HA VOLUTO AFFRONTARE (E RACCONTARE) QUESTA ESPERIENZA
In questa raccolta di riflessioni, recentemente pubblicata da Feltrinelli, Romagnoli ha raccontato la sua decisione di sottoporsi a un finto rito in Corea del Sud, dove la Korea Life Consulting offre la possibilità di simulare il proprio funerale (allo scopo, pare, di arginare la piaga dei suicidi).
Chiusi in una bara non si può che viaggiare con la mente. Inizia così un viaggio alla ricerca di ciò che è indispensabile portarsi dietro nella vita.
Dobbiamo imparare a confezionare un bagaglio a mano ideale, comprendente solo ciò che ci è necessario e sufficiente per affrontare il lungo viaggio chiamato esistenza.

Anche se poi, all’appuntamento con la morte, nulla potremo portarci dietro. Nemmeno un trolley. Lo rammenta l’abito consegnato ai “candidati” del finto rito coreano: un abito senza tasche, «perché senza nulla sei venuto e senza nulla te ne andrai» (come per altro si dice anche a Napoli).
“SOLO BAGAGLIO A MANO” È UN LIBRO DI RIFLESSIONI CHE VANNO OLTRE IL CLASSICO “SENSO DELLA VITA”
Una conclusione a cui arriva Romagnoli è racchiusa nella massima «grande viaggiatore, piccolo bagaglio»: l’esperienza insegna l’arte di togliere, di concentrarsi sul realmente necessario. E insegna a fare a meno anche di quello.
Un’altra riflessione chiave riguarda invece tutto ciò che non hai fatto per via di quelle “sliding doors” che ti si sono chiuse davanti, impedendoti forse di prendere il treno per l’occasione della tua vita.
COSTRETTO A VIAGGIARE CON LA MENTE, L’AUTORE PENSA ANCHE ALLE VITE CHE NON HA VISSUTO, FINENDO PER FORNIRCI UN SUO PERSONALE COMANDAMENTO
Era meglio prenderlo o perderlo? Ci rimugini continuamente e così «le vite che non hai vissuto hanno vissuto te», nel senso che tornano continuamente nei tuoi pensieri, nel bene o nel male, magari modellando scelte successive, magari impedendoti di scegliere liberamente.
Romagnoli ne trae un comandamento: «Non avrai altra vita all’infuori di questa, fattene una ragione e ringrazia».
Lorenzo Crola
Un punto di vista certamente fuori dagli schemi.
Ma… chi non sarebbe curioso di assistere al propri funerale?
Mi viene in mente “Rosso”, la canzone di NIcolò Fabi…
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La devo ascoltare…
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No, dai, non la conosci davvero?
E’ stupenda!
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Eh purtroppo no, sai che con la musica sono rimasto indietro… 😀 La ascolto volentieri, grazie!
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No, io non sono per niente curiosa di come sarà il mio funerale! L’unica cosa che spero, è di essere ricordata, magari con un sorriso.
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Hai ragione. Ricordo uno zio che diceva sempre “fatemi un buco nella bara, quando muoio, voglio vedere chi viene al funerale”. Incredibile che in un certo senso qualcuno abbia realizzato quell’idea
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Sì è veramente incredibile, ma d’altronde il pensiero per quell’appuntamento al quale nessuno di noi può sottrarsi, può suscitare varie strategie. Io non voglio pensarci perchè ho paura. Vorrei tanto avere un’idea della morte come avevano gli Etruschi, ma non ce la faccio. Quindi allontano il più possibile quel pensiero…
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Hai ragione, è difficile sia pensarci sia non pensarci. Che dicevano gli etruschi?
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Gli Etruschi erano un popolo di grande vitalità, in grado di accogliere persino la morte con un sentore di gioia e serenità, come una tappa inevitabile della vita.
Il passaggio nell’aldilà di un defunto era celebrato come una festa, Nei tempi più antichi gli Etruschi credevano a una sorta di sopravvivenza terrena del defunto, dotando le sepolture di richiami al mondo vivente. La tomba infatti veniva costruita con la forma di una casa e dotata di suppellettili e arredi, veri o riprodotti in miniature.
Insieme al corpo venivano inumati anche i suoi beni più personali e preziosi: vestiti, armi, gioielli, oggetti di uso quotidiano. Sulle pareti del sepolcro erano dipinte scene come giochi atletici, banchetti, danze o situazioni tra le più significative della vita quotidiana, momenti sereni e piacevoli del defunto che servivano a trasmettergli la vitalità che esprimevano.
Rimasi molto colpita quando in prima media ci portarono a Populonia, Ci fecero visitare la necropoli ( molto importante e meta di turismo anche oggi ) fatte a forma di case. Dentro c’era tutto, dal cibo, agli abiti ai gioielli. Non si avvertiva tristezza, ma serenità e grande forza vitale di quel grande popolo ( che poi siamo anche noi toscani! )
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Grazie, Vittoria, è un bell’approfondimento su questo tema, che appunto risulta un po’ “scomodo” da trattare. Ma gli Etruschi evidentemente avevano trovato un modo per vederlo più serenamente. Io ricordo di aver visitato delle tombe e il museo archeologico di Tarquinia da bambino, durante una vacanza. Anch’io rimasi incantato scendendo in quei vani sotterranei dipinti e (ai miei occhi) misteriosi. Non ricordavo la loro visione particolare dell’aldilà, che ha degli interessanti aspetti in comune con altre civiltà antiche
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Certamente! La civiltà di un popolo la dice lunga sui riti che accompagnano i defunti.
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Ottima morale direi!!!
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C’è sempre qualcosa da imparare, anche dal proprio funerale…
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Interessante
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Bellissimo articolo, specie in questa epoca di continui suicidi tra i giovani e non giovani. Fa riflettere sull’essenziale della vita.
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Ahimè, purtroppo è un problema che si è aggravato e non è che se ne parli molto
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certo che solo il pensiero di mettersi in una bara da i brividi, sarà anche un’esperienza utile, ma io non la farei. 🙄 Ad ogni modo a livello psicologico come riflessione ci sta…👍
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Io nemmeno! Non so con che spirito il giornalista sia riuscito ad affrontare questa esperienza. Magari in Corea risulta una cosa meno strana, non so…
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Non conoscevo questa iniziativa, che reputo interessante. Ammetto che non mi chiuderei dentro a una bara, però è vero che la domanda sul senso della vita ce la poniamo tutti, prima o poi, ed è una domanda filosofica importantissima, che sgomenta e talvolta terrorizza.
Sono d’accordo sulla necessità di portare con sé soltanto l’essenziale, perché è vero che si procede meglio senza inutili zavorre appresso; però la questione delle occasioni perse è quella che probabilmente fa soffrire più di ogni cosa. Si tratta di un tema enorme.
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Sì, tutti i temi toccati in questo libro sono “enormi”, va riconosciuto a Romagnoli il merito di essere riuscito a toccarli agilmente, riuscendo a dire qualcosa di originale
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