Se un veterinario dovesse pubblicare oggi la propria autobiografia, potrebbe tranquillamente scegliere come titolo “Memorie di un medico dei cani (e/o dei gatti)”. Dante Graziosi amava invece definirsi “un medico degli animali”.
L’unico cane che compare nella sua raccolta di ricordi è la Kis, fedele compagna di quelle battute di caccia che, partendo alle prime luci del giorno, ispirano alcune delle pagine più poetiche del libro:
«Guardando lontano verso la pianura aperta si vedeva una bruma leggera che si levava da terra come una bambagia d’argento, mentre l’orizzonte prendeva i pallidi colori dell’opale per poi arrossire e fiammeggiare di lì a poco nel tripudio dell’alba».

Come molti mestieri, anche quello del veterinario nella seconda parte del ‘900 si è trasformato, o meglio ha iniziato a comprendere nuove strade, prima impensabili.
Per la maggior parte di noi, è un dottore da chiamare quando Fido o Fuffy stanno male, ma ai tempi (siamo negli anni ’30 del ‘900, in condotte di campagna come Oleggio e Borgolavezzaro, nel Novarese) cani e gatti dovevano arrangiarsi.
LE MEMORIE DI DANTE GRAZIOSI CI RACCONTANO UN MONDO E UNA PROFESSIONE CHE HANNO POI INTRAPRESO STRADE DEL TUTTO NUOVE, ALL’EPOCA IMPENSABILI
Il veterinario si chiamava per vacche, cavalli, pecore, asini. I sostegni dell’economia rurale. «Si può sbagliare a curare un cristiano ma gli animali no, gli animali devono guarire, non ci sono santi!».

Un territorio come quello di Oleggio, caratterizzato da tante piccole aziende zootecniche, vari salumifici e uno storico mercato del bestiame, è quindi una bella sfida per un veterinario esordiente.
«In tre mesi o guarisci dall’ulcera o muori» è il monito del decano dottor Anglesio a un giovane e malaticcio dottor Graziosi, che si ritrova a debuttare proprio al foro boario di Oleggio, dove i contratti ancora si concludevano con strette di mano, pacche sulle spalle e scambio di bigliettoni dal portafogli.
NELLE CASCINE DEL NOVARESE – TRA ANIMALI DA OPERARE IN STALLA E PROPOSTE “IRRICEVIBILI” DA GESTIRE – EMERGE IL VERO MESTIERE DI VETERINARIO, COSÌ DISTANTE DALL’ESPERIENZA ACCADEMICA
Vige una sola legge: sano, giusto e da galantuomo.
Una legge semplice e ineludibile quando si tratta di rispondere alle richieste di “trasformare” carne di toro in tenero vitello o macellare una bestia malata, così come quando il nostro veterinario sarà chiamato a pronunciarsi sul caso di una cavalla che sarebbe stata venduta benché affetta da “vizio d’animo”. Il giudice istruttore era un certo Oscar Luigi Scalfaro.

L’Università a Torino era un mondo ideale, le fattorie di Oleggio sono la realtà dove fare gavetta (senza darlo troppo a vedere), sporcarsi le mani, misurarsi e crescere.
E Dante Graziosi non idealizza, non ci esime dall’entrare nelle “viscere” del mestiere, a partire da una vacca che, dopo il parto, ha un prolasso totale dell’utero da «operare al lume di petrolio, sulla paglia marcia, con spifferi di vento che sibilano dai vetri rotti delle finestre, mentre fuori fioccano cialde di neve».


La poesia campestre e le scorribande giù al Ticino a bordo della mitica Topolino amaranto (da cui il titolo) si alternano a pagine in cui è impossibile non partecipare all’ansia per le sorti di quelle bestie.
Iniziamo a renderci conto delle scabrosità del mestiere dal secondo capitolo dedicato al mattatoio, dove gli animali «sul piazzale d’ingresso si fermavano di botto, avevano sentito l’odore della morte», fino al caso del cavallo affetto da un impressionante dimagrimento a causa di una “semplice” carie scoperta durante un consulto.

Graziosi ci accompagna dalla cascine alla lotta partigiana tenendo costante un tono amichevole e familiare, come l’ambiente in cui si svolgono i racconti. Sono storie che pare quasi di udire in stalla o al bar del paese.
CON UN TONO FAMILIARE COME L’AMBIENTE IN CUI SI SVOLGONO, LE STORIE DI GRAZIOSI CI RIPORTANO A UN AMBIENTE DOVE VIGE UNA SEMPLICE MA INELUDIBILE LEGGE: “SANO, GIUSTO E DA GALANTUOMO”
Uno stridente sottofondo è quello della dittatura e dei potentati locali che, nella loro cieca adesione al regime, finiscono per costringere il dottor Graziosi a spostarsi nella “bassa”, dove si crede di confinarlo.
Al contrario, anche da lì darà il suo contributo alla lotta partigiana, dettando messaggi per radio Londra: «Dovreste provare a sentirvi protagonisti della storia! C’è da mettersi a tremare».
Lorenzo Crola
NOVITÀ DA QUESTO ARTICOLO VI PROPONGO UNA SELEZIONE DI PAROLE O ESPRESSIONI PARTICOLARI (PER LA RARITÀ, L’OBSOLESCENZA O SEMPLICEMENTE PER LA LORO CURIOSITÀ) TRATTE DAL LIBRO PRESENTATO
Glossarietto per leggere “Una Topolino amaranto”
- «il malcapitato intimorito slegò il mulo ed ubbidì, imprecando alla sorte che lo aveva fatto incocciare in un così strano personaggio» (cap. 2)
INCOCCIARE vocabolo che nel lessico marinaro indica l’atto di infilare un’estremità di un cavo in un anello, ma c’è anche un uso dalle dibattute origini dialettali che vale incontrare/incappare in qualcuno, oppure ostinarsi, incaponirsi
- «la condotta di Oleggio era la prima della Provincia per l’educazione zootecnica degli allevatori, per i salumifici redditizi, per il settimanale mercato del bestiame: una lotteria di Tripoli, come allora si diceva, da non lasciarsi sfuggire» (cap. 2)
LOTTERIA DI TRIPOLI come sottolinea Graziosi, questo concorso era proverbiale all’epoca dei suoi ricordi di giovane veteriniario, negli anni ’30. Allora aggiudicarsi il primo premio alla lotteria di Tripoli era un sogno come oggi vincere al Superenalotto. Il sito www.lotteria-italia.it spiega che «nel 1933 si ha la prima lotteria in chiave moderna, abbinata ad una gara automobilistica: “La Lotteria di Tripoli” organizzata dall’Automobile Club di Tripoli. La Lotteria viene istituita circa vent’anni dopo l’occupazione italiana della Libia, e nel 1936 la sua gestione passa al servizio del Lotto del Ministero delle Finanze. Pertanto, la Lotteria di Tripoli rappresenta storicamente l’inizio dell’attuale sistema di lotterie nazionali a cadenza annuale gestita dallo Stato»
- «La politica è un male oscuro che non ti lascia più (…) è uno strano spirocheta che ti gira nelle vene e non ci sono cure» (cap. 26)
SPIROCHETA è un genere di batteri dal corpo a spirale (la spirocheta pallida è nota come agente della sifilide). Graziosi, accennando alla propria esperienza politica (fu tra l’altro parlamentare italiano ed europeo nonché sottosegretario di vari governi), lo usa come sinonimo di una passione/morbo di cui diventa impossibile liberarsi, lasciando ambiguamente al lettore il compito di valutare se questo attaccamento non finisca per diventare una mania, un’ossessione, qualcosa di patologico
Dizionari consultati: Zingarelli, Battaglia, Deli
Veramente interessante la storia di questo veterinario de tutti gli animali😻
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